mercoledì 28 dicembre 2016

Società di calcio e famiglie.

La mia attività di istruttore ultimamente ha subito una sterzata. Ho impresso questa manovra a malincuore, ho lasciato una società in cui, con alti e bassi, mi ero trovato bene ed ero riuscito a svolgere l'attività di istruttore secondo i principi in cui credo: prima la persona poi il calciatore. Mi ero reso conto che il contesto non mi avrebbe piu permesso di proseguire secondo questi principi. Sono stati 3 anni molto soddisfacenti sotto il profilo umano prima e tecnico dopo. La società che ho frequentato ultimamente è una realtà in crescita, come tante a Milano, nell'ultimo anno addirittura al di là delle aspettative. Purtroppo ciò produce delle controindicazioni. Se la crescita strutturale non va di pari passo con una maturazione organizzativa, tecnica e programmatica allora qualche ingranaggio ne può risentire. Ma non sto qui a scrivere per esprimere giudizi che non voglio dare, So quanto ho dato in termini di energia, entusiasmo, didattica, di idee e metodo, questo mi appaga e mi fa mettere dietro le spalle quest'esperienza con soddisfazione.
Quest'esperienza ha rafforzato in me diverse convinzioni: Le società di calcio dilettatistiche oggi rivestono un'importanza nel percorso formativo dei ragazzi e delle ragazze che, oggi, sottovalutano anche  gli operatori. In un quadro sempre più definito ed organizzato, la proposta formativa extrascolastica se organizzata e strutturata deve prendere coscienza di ciò che la didattica e la pedagogia indica come percorso sano e fruttifero per un ragazzo.
Una Società di calcio quindi ha il dovere prima di preparare un terreno fertile dove poter far crescere le piantine. In cosa consista questa fertilità, ne sono sempre piu convinto. Essa è rappresentata da un'insieme di regole condivise, comuni e valide per tutti, un rapporto costantemente aperto e fluido con le famiglie con cui queste regole si possano condividere. La difficoltà di comunicazione che oggi mette in crisi le istituzioni della scuola dell'obbligo si fonda su una profonda crisi di metodo condiviso. Spesso le famiglie mettono in discussione i metodi ed i sistemi educativi e formativi della scuola perchè non ne conoscono i contenuti, i percorsi, perche la scuola non parla loro. Questo pesa sul rapporto fiduciario tra allievo e formatore. Questo accade anche nelle società di calcio e in tutte quelle istituzioni formative e didattiche extrascolastiche che "non parlano". Spesso un'istruttore di calcio si ferma ad un'analisi morfologica, atletica, valuta le capacità condizionali, tattiche individuali e tecniche, le abilità. Valuta lo stante, lo soppesa, lo contestualizza e ne traccia un'idea complessiva. Non va oltre, ne conosce poco il carattere, le caratteristiche socio-relazionali, le istanze psicologiche, l'intelligenza emotiva, lo sviluppo emotivo e soprattutto , la sua storia intesa come anamnesi sportiva.
Giusto per spiegarmi meglio, 3 anni fa dovetti valutare un ragazzino le cui capacità, per fare questo sport, erano davvero risicate, prima di prendere la decisione definitiva (delegata in pieno dal mio direttore sportivo), volli fare una chiacchierata con i genitori prima e poi con lui. Cambiai idea, oggi svolge serenamente e con profitto la sua attività contribuendo ai successi della sua squadretta, l'obiettivo era conseguito.  Di questi casi in tutti gli anni che ho dedicato a questa attività me ne sono capitati tanti e mai è stato tempo perso. Tuttavia sono anche convinto che il contatto tra istruttore e genitore, nelle società di calcio deve essere ridotto all'indispensabile, praticamete nullo. Allora chi deve gestire questo filo comunicativo? Ogni società ha i suoi dirigenti, i direttori tecnici, sportivi, sono loro che devono assumersi questa responsabilità. Sono loro che hanno in mano il futuro dei ragazzi e le sorti della base di questo movimento sportivo che in Italia ha ancora grandissime potenzialità nella maggior parte dei casi, inespresse.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.